Congresso SIDeMaST. Peeling al viso: da trattamento estetico a rimedio contro fotoinvecchiamento e condizioni precancerose della pelle

Non solo più trattamento estetico. Il peeling al viso, uno degli atout più gettonati sul fronte della bellezza, diventa diventa ora una carta importante nel trattamento terapeutico di alcune delle condizioni più “critiche” per la cute. Sicuro e poco invasivo, in grado di attenuare in “modalità soft” rughe e antiestetiche macchie scure che con il tempo compaiono sulla pelle, può diventare un’arma contro i danni da photoaging e anche contro quelle condizioni precancerose che, a volte, se la prevenzione fallisce, possono trasformarsi in vere e proprie neoplasie cutanee.

Le indicazioni da seguire per utilizzare il peeling chimico in maniera sapiente e con una veste rinnovata arrivano dal 94esimo Congresso nazionale della SIDeMaST, la Società Italiana di Dermatologia Medica, Chirurgica, Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse, quest’anno in versione digital da oggi al 6 novembre. Prima di tutto, fondamentale è la scelta e il dosaggio delle sostanze attive impiegate per i trattamenti. E i registi in grado di saper miscelare e misurare gli agenti chimici da utilizzare, personalizzando i trattamenti per ogni differente esigenza, sono i dermatologi esperti. Guai quindi ai “fai da te” che possono trasformarsi in veri e propri boomerang per la nostra pelle.

Dall’inglese “to peel”, letteralmente pelare, il peeling serve ad accelerare il rinnovamento cellulare attraverso l’uso di un agente chimico applicato sulla cute che, attraverso la rimozione delle cellule morte dello strato corneo, è in grado di stimolare il turnover cellulare e indurre una reazione infiammatoria a livello del derma. In questo modo, attiva la produzione di collagene e di sostanze fondamentali: “Il fotoinvecchiamento, in inglese photoaging – spiega Nicola Zerbinati, Professore in dermatologia Università di Varese – è un particolare stato d’invecchiamento cutaneo causato dal danno cronico provocato dai raggi ultravioletti e da esposizione al sole. Quest’ultima, oltre a sviluppare endorfine per la maggior parte di noi, può nel lungo periodo, indurre veri danni al Dna delle cellule della pelle che si sommano a quelli dell’invecchiamento biologico. Questa condizione oltre all’invecchiamento più rapido della pelle può portare – attraverso una alterazione della distribuzione e morfologia del collagene che porta alla formazione delle tanto odiate rughe accompagnate da perdita di elasticità, pelle secca e ruvida, presenza di capillari dilatati su guance, desquamazione, macchie solari – anche condizioni precancerose che, se la prevenzione fallisce, a volte possono trasformarsi in vere e proprie neoplasie cutanee”.

Nella pratica dermatologica ambulatoriale, spiega il Professor Zerbinati, i peeling prima relegati a pratiche con puro indirizzo estetico, oggi vengono quindi impiegati anche nel trattamento terapeutico di alcune delle condizioni citate: “Fondamentale, naturalmente, è la scelta e il dosaggio delle sostanze attive impiegate per l’aggressione chimica e la conseguente attivazione di quei meccanismi riparativi che portano al ripristino delle condizioni fisiologiche cutanee”. In questa ottica anche il veicolo per migliorare le penetrazioni e le biodisponibilità delle molecole attive assume perciò un aspetto centrale nella organizzazione dell’approccio terapeutico: “L’idea – conclude – è quella di modulare e sinergizzare vecchie e nuove molecole (arbutine-alfa idrossiacidi, betaidrossiacidi, retinoidi) in un nuovo supporto chimico dando spazio alla vena ‘galenica’ del professionista dermatologo che scegliendo e miscelando gli attivi, alla luce della condizione clinica di ciascun paziente, è in grado di promuovere alta efficacia clinica con un ottimo profilo di sicurezza con il proprio trattamento di peeling”.

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