Boom medici a lezione: come imparare a parlare con i pazienti

Medico di baseLa relazione medico-paziente diventa sempre più importante. Dai cardiologi, ai ginecologi, sono infatti in aumento i medici che vanno a lezione per imparare a ‘parlare meglio’ con i pazienti. “Sono stati quasi 23mila, in un solo anno, quelli che hanno aderito al corso di formazione continua che abbiamo organizzato per migliorare le tecniche comunicative col paziente e la sua famiglia”, spiega Roberta Chersevani, presidente della Federazione dell’Ordine nazionale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Fnomceo. Mentre sempre più studi confermano che migliorando questa relazione si ottengono anche benefici in termini di salute.

Delle oltre 24mila segnalazioni arrivate a Tribunale dei Diritti del Malato – Cittadinanzattiva, secondo il rapporto Pit salute 2015, il 3,6 % riguardava comportamenti di incuria da parte del personale sanitario, atteggiamenti sgarbati e difficoltà a ricevere informazioni sulle proprie condizioni. Accanto a problemi come liste d’attesa, errate diagnosi e costi dei ticket, quindi, quello della mancanza di dialogo e di empatia è un aspetto sentito in chi riceve cure. A sancire che “il tempo di comunicazione è tempo di cura” è lo stesso Codice Deontologico medico, ma l’Università in genere non prepara a sufficienza a gestire questo aspetto.

Eppure ad affermare che la qualità della comunicazione si riflette sulle cure non è solo il senso comune, ma anche le evidenze scientifiche. Ad esempio un’analisi comparativa condotta da ricercatori del Massachusetts General Hospital e pubblicata su Plos One, che ha selezionato 13 studi clinici, in cui medici erano stati sottoposti a training per prestare attenzione alle emozioni dei pazienti. Ne è emerso che l’effetto sulla prognosi era statisticamente significativo, spesso “dello stesso ordine di grandezza di molti trattamenti medici standard”.

Mentre secondo i risultati di IntroDia, indagine internazionale su 10.000 persone, presentata nel 2015 al Congresso dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete, una comunicazione ‘incoraggiante’ e ‘collaborativa’ da parte del medico, al momento della diagnosi di diabete 2, è correlata ad una maggiore aderenza alla terapia. E spesso sono gesti, sguardi e sfumature a fare la differenza. “Se il paziente si fida del medico – conferma Chersevani – è anche più predisposto a seguirne le indicazioni terapeutiche e meno incline a una relazione conflittuale, che può sfociare in un aumento anche delle denunce. In ultimo, una buona comunicazione riduce l’impatto della medicina difensiva e dei suoi alti costi per la sanità pubblica”.

Dal modo di comunicare la diagnosi alle tecniche per ridurre il conflitto o per sviluppare empatia: da giugno 2015 a giugno 2016, 22.800 medici hanno seguito il primo modulo del corso a distanza, mentre è ormai online il secondo. “Con questa alta adesione – aggiunge Chersevani – hanno mostrato di sentire la necessità di un supporto per migliorarsi. Perché confrontarsi con chi sta male a volte è un compito molto difficile”.

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