Bifosfonati: alterazione struttura ossea spiega fratture atipiche

(Reuters Health) – La terapia a lungo termine a base di bifosfonati sarebbe associata ad alterazione della composizione dell’osso corticale, che modificherebbe i meccanismi di resistenza contribuendo alle fratture atipiche. È quanto ha dimostrato uno studio coordinato da Eve Donnelly della Cornell University di Ithaca, nello stato di New York. I risultati sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).

Lo studio
La terapia a lungo termine a base di bifosfonati è stata associata a fratture femorali atipiche, per le quali la causa è ancora poco chiara. Per lo studio, Donnelly e colleghi hanno messo a confronto le biopsie ossee dei pazienti trattati con bifosfonati e che avevano subito una frattura atipica, con le biopsie di pazienti che avevano subito fratture tipiche da osteoporosi, trattati o meno con bifosfonati. Le biopsie del tessuto osseo delle pazienti con fratture atipiche mostravano un aumento dello spessore corticale e una riduzione della frazione di volume osseo intra-corticale. L’osso di queste pazienti mostrava anche una maggiore mineralizzazione, una maggiore durezza media e un maggiore rapporto minerale/matrice, tutti fenomeni coerenti con una riduzione del rimodellamento osseo. L’osso corticale delle pazienti trattate con bifosfonati avevano una ridotta resistenza all’intaccamento dell’osso e una durezza inferiore in generale, rispetto all’osso di pazienti non trattate con bifosfonati.

I commenti
“I nostri risultati identificano alcuni meccanismi chiave dai quali potrebbe dipendere il fatto che la terapia con bifosfonati riduce la resistenza del tessuto osseo alla propagazione delle ‘crepe’ e contribuisce così allo sviluppo di fratture atipiche nelle pazienti trattate per lungo tempo -spiega Donnely – Comprendendo questi meccanismi potremmo fare delle linee guida per i pazienti a rischio di fratture, per esempio limitando la durata della terapia. Un risultato in linea con le recenti raccomandazioni della FDA di rivalutare il trattamento dei bifosfonati dopo 5 anni”. Lo studio, tuttavia, “non indica che le pazienti dovrebbero rifiutare la terapia”, ha concluso la ricercatrice, sottolineando la gravità dell’osteoporosi, soprattutto nelle pazienti a più elevato rischio di fratture. Secondo Per Aspenberg, della Linkoping University, in Svezia, “i risultati che gli autori descrivono sono tutte conseguenze del ridotto rimodellamento osseo”. Dunque nulla di nuovo, “ma i ricercatori americani – ha spiegato l’esperta – hanno strumenti di imaging e di analisi più avanzati e hanno potuto descrivere la microstruttura e la meccanica ad alta risoluzione”.

Fonte: PNAS

di Will Boggs

(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)

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