Anestesisti, età non decide ingresso in rianimazione

Se in una pandemia di Covid non si può garantire a tutti i malati il trattamento in terapia intensiva per saturazione delle risorse, si deve ricorrere al triage per garantire i trattamenti di supporto vitale al maggior numero possibile di pazienti che ne possa trarre beneficio e avere una possibilità di sopravvivenza accettabile. L’età non è quindi un criterio con cui si può decidere l’ingresso in rianimazione, ma va considerata nel contesto di una valutazione clinica globale del paziente.

Lo precisa il documento appena pubblicato dalla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti) e Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (Simla) sul sito dell’Istituto superiore di sanità. Un tema questo che era già stato affrontato dalla Siaarti con un altro documento uscito il 6 marzo 2020, che aveva suscitato molte polemiche, in cui si diceva che nell’emergenza Coronavirus poteva “rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente utilitaristiche, ma di dedicare risorse che sono preziosissime e non estendibili all’infinito (pur se aumentate) a chi ha più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone”.

Ma, come precisa Flavia Petrini, presidente della Siaarti, “qui non facciamo nessun dietrofront. In questi mesi abbiamo lavorato con la Fnomceo e il contributo di giuristi e della medicina legale con un unico obiettivo: rendere omogeneo il comportamento dei colleghi che lavorano in sistemi sanitari diversi, offrendogli uno strumento per svolgere la loro attività. Sarebbe stato utile averlo prima della pandemia”.

Nel nuovo documento, in cui vengono pubblicate anche tabelle con punteggi su fragilità , presenza di più  malattie e rischio di morte (in uso da tempo negli ospedali), si spiega che nel considerare il caso “bisognerà  procedere basandosi sulla valutazione globale di ogni singola persona malata valutando come parametri il numero e tipo di altre patologie presenti, lo stato funzionale pregresso e fragilità  rilevanti rispetto alla risposta alle cure, la gravità del quadro clinico attuale, il presumibile impatto dei trattamenti intensivi, anche in considerazione dell’età  del paziente, e infine la volontà  della persona malata (espressa anche tramite dat) riguardo alle cure intensive, che dovrebbe essere indagata prima possibile nella fase iniziale del triage”.

Dai criteri di triage sono esclusi l’ordine di arrivo e il sorteggio in quanto non eticamente sostenibili, “e previsti invece in altri paesi stranieri – continua Petrini -. È inevitabile che la malattia, la fragilità e la probabilità di morte peggiorino con l’età, che però è uno dei criteri da considerare. Se la terapia intensiva non è indicata per quel malato, si procederà con cure semi-intensive o palliative. Il criterio da seguire dev’essere quello dell’appropriatezza della cura”. Principi che in parte sono ripresi anche nella bozza del piano pandemico 2021-2023, elaborata dal dipartimento Prevenzione del ministero della Salute senza il contributo della Siaarti, che parla di privilegiare i pazienti che possono trarre più beneficio dalle cure in caso di risorse insufficienti.

(di Adele Lapertosa)

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