Ucraina: corsa a iodio, ma esperti dicono no a fai-da-te

L’attacco alla centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia ha fatto scattare in più Paesi, Italia compresa, una corsa nelle farmacie a caccia delle pastiglie di ioduro di potassio (KI), un composto utilizzato come farmaco contro l’ipertiroidismo e come fattore di protezione in caso di emissioni di radiazioni. Ma la raccomandazione è evitare il fai-da-te.

Lo ioduro di potassio “va assunto solo dietro indicazioni dei responsabili della salute pubblica o di coloro che gestiscono l’emergenza” in quanto nell’assumere lo ioduro di potassio si può andare incontro a rischi per la salute”, rilevano i Centri americani per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc). E’ molto importante assumerlo in “dosi opportune e non come preventivo in assenza di radioattività”, rileva Sebastiano Venturi, medico esperto di igiene pubblica che ha lavorato nel Servizio di igiene e prevenzione della Ausl di Rimini. Venturi è autore di una ricerca su questo tema pubblicata nel 2020 sulla rivista Human Evolution. “Vanno inoltre considerati – aggiunge – fattori importanti, come età, malattie, stato di gravidanza o allattamento”.

Utilizzato in seguito all’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, nel 1986, è un sale di iodio stabile, ossia non radioattivo, in grado di bloccare l’assorbimento dello iodio radioattivo da parte della tiroide. “In realtà lo iodio protegge solo dallo iodio radioattivo, in particolare dallo iodio 131, ma non da altri radionuclidi emessi in incidenti nucleari, come cesio e stronzio”, rileva Venturi.

“Lo ioduro di potassio va assunto prima che lo iodio radioattivo venga ingerito, o nelle primissime ore” successive, osserva. Ricerche recenti, conclude, indicano che questo composto “non è utile solo per prevenire i danni della tiroide, ma è importante per tutto il corpo, in particolare per stomaco, mammella, cervello, sistema immunitario, midollo osseo, retina”.

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