Sustainable Nutrition Scientific Board/2: impatti e trade-off nella produzione di oli vegetali

L’umanità si trova di fronte a un “triplo dilemma”: produrre più cibo, assicurarne l’adeguatezza nutrizionale e limitare lo sfruttamento delle risorse naturali a discapito dell’ambiente e della biodiversità. Problemi così complessi non possono essere risolti isolatamente. È evidente la necessità di un nuovo approccio che consenta di fare sintesi tra sicurezza alimentare, adeguati apporti nutrizionali e la tutela degli ecosistemi chiave come pure dei mezzi di sussistenza, anche in un’ottica di raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sdgs) fissati per il 2030 dalle Nazioni Unite.

In un recente articolo abbiamo introdotto i contenuti presentati dal Sustainable Nutrition Scientific Board (SNSB) durante il Simposio “Nutrizione Sostenibile: soddisfare i bisogni del futuro” organizzato lo scorso autunno nell’ambito del Congresso dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN)

Questo gruppo di autorevoli esperti internazionali in discipline diverse ma complementari è stato istituito nel 2020 con l’obiettivo di sviluppare un nuovo filone di ricerca scientifica caratterizzato da un approccio metodologico olistico con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale e dei Big Data.

Il caso degli oli vegetali

Il primo progetto di ricerca del SNSB – tuttora in corso e la cui conclusione è prevista per la meta del 2022 – ha l’obiettivo di analizzare il caso degli oli vegetali e loro impatto sull’alimentazione umana e sul pianeta.

Perché proprio gli oli vegetali? Secondo il SNSB questo è un argomento complesso e urgente da affrontare, perché i grassi sono una importante fonte di energia ed un nutriente fondamentale per una dieta equilibrata e abbiamo bisogno di produrli in modo sicuro, efficiente e sostenibile per soddisfare la domanda mondiale. Per questo intende approfondire meglio le raccomandazioni sull’assunzione di olio vegetali ed in particolare il collegamento tra grassi saturi e rischi cardiovascolari, aumentare la conoscenza dei marcatori di stress ossidativo per migliorare la qualità e la sicurezza degli oli e mappare gli impatti ambientali e sociali delle colture oleaginose.

Il Prof. Erik Meijaard, Co-Chair della Task Force IUCN per gli oli vegetali, sta lavorando alla raccolta ed analisi di dati più accurati sugli impatti delle colture oleaginose. La ricerca sulla biodiversità si è concentrata prevalentemente sulle colture perenni – palma da olio, cocco e olivo – mentre scarseggiano dati sulle colture annuali, come soia, girasole e colza. Per esempio, gli elenchi delle specie minacciate sono incompleti. Oggi, secondo l’esperto, siamo di fronte a una storia raccontata a metà, che ha scatenato accanimenti mediatici e campagne di demonizzazione di cui l’olio di palma è stato la vittima principale. Per informare obiettivamente i decisori politici e i consumatori è invece necessario disporre di un quadro molto più ampio.

Il SNSB procederà ad una mappatura completa degli impatti per tutti gli oli vegetali chiave, che consentirà una valutazione equilibrata che tenga conto delle zone di coltivazione, delle rese, del consumo di risorse e degli impatti sugli ecosistemi, nonché dei costi e benefici socio-economici e dell’intercambiabilità degli oli per usi diversi.

I primi dati presentati del Prof Meijaard tuttavia confermano che l’olio di palma sulla carta dimostra di essere una delle fonti di grassi più efficienti. Oggi rappresenta la quarta fonte di calorie a livello globale ed il 35% di tutti gli oli vegetali prodotti, impegnando appena il 10% della superficie agricola destinata alla produzione di oleaginose. In sostanza consente di ottenere nutrimento con un limitato consumo di risorse naturali.

Volendo soddisfare la crescente domanda di oli vegetali – che si stima raggiungerà i 310 milioni di tonnellate nel 2050 rispetto ai 165 attuali – sostituendo l’olio di palma con altri oli, si assisterebbe a un incremento di 200 quasi ettari circa di terre coltivate a oleaginose (una superfice pari a 7 volte circa quella dell’Italia), e quindi a un aumento della pressione sulle foreste e sulla biodiversità.

Meijaard inoltre sottolinea che una messa al bando dell’olio di palma in Europa non solo avrebbe un impatto sostanzialmente irrilevante sulla deforestazione, ma rischierebbe di essere controproducente, dal momento che i flussi commerciali si sposterebbero su altri mercati, come la Cina e l’India. Inoltre, in questo modo l’Europa vedrebbe compromettersi il suo ruolo di promotrice della completa transizione verso la piena sostenibilità della filiera.

Una commodity strategica quindi, ma spesso al centro di polemiche legate alla impronta ambientale e sociale, sebbene le catene di approvvigionamento gestite in modo sostenibile siano in grado di produrlo in modo ancora più efficiente e rispettoso dell’ambiente e delle comunità. Si impone quindi una valutazione equilibrata dell’impatto ecologico e socio-economico di tutti gli oli vegetali, completando la mappatura e l’analisi per tutte le colture oleaginose, per poter arrivare a raccomandazioni di policy coerenti con gli obiettivi di sviluppo e nutrizione sostenibile.

Il caso degli oli vegetali è solo un esempio: l’agricoltura e la nutrizione sostenibile richiedono un equilibrio tra le logiche ambientaliste e quelle sociali ed economiche, il tutto senza dimenticare che sul nostro Pianeta convivono popoli con tradizioni alimentari molto diverse.

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