Sigarette e lockdown: come sono cambiate le abitudini degli italiani?

Non c’è dubbio sul fatto che la pandemia, tra le altre cose, abbia sconvolto le abitudini degli italiani sotto moltissimi punti di vista. Anche per quanto riguarda il fumo, i comportamenti della popolazione sembrano essere leggermente cambiati durante il lockdown. È quanto rivelano i risultati di un sondaggio condotto dai ricercatori del CoEHAR dell’Università di Catania, in collaborazione con l’Università di Roma Sapienza e la LIAF Lega Italiana Anti Fumo. Lo studio, indipendente, è stato pubblicato sulla rivista Health Psychology Research.

Quasi 2.000 partecipanti hanno risposto al questionario online, incentrato in modo specifico sulle dinamiche psicologiche del comportamento legato al fumo durante la prima fase del lockdown. Sono stati divisi in 7 sotto gruppi: fumatori di sigarette convenzionali (il 32% dei partecipanti), svapatori (12,3%), utilizzatori di sigarette a tabacco riscaldato (4,4%), utilizzatori di sigarette convenzionali e e-cigarettes, utilizzatori di sigarette e prodotti a tabacco riscaldato, ex fumatori o persone che non avevano mai fumato.

I risultati hanno evidenziato una leggera diminuzione nel numero di sigarette fumate nei consumatori di sigarette convenzionali e di consumatori “duali” di sigarette elettroniche e classiche. Ciò è dovuto a diversi fattori, tra cui la mancanza delle abitudini solitamente correlate all’accensione della sigaretta, alla convivenza con membri della famiglia che non fumano e ai timori generalizzati legati allo sviluppo di forme gravi di COVID-19.
Non ci sono dei dati che evidenziano un grande cambiamento in relazione ai prodotti a rischio ridotto, senza combustione come sigarette elettroniche e tabacco riscaldato.

Come è avvenuto per i generi alimentari, poi, i ricercatori notano una tendenza all’accumulazione di sigarette e liquidi delle e-cig. Un comportamento dovuto “alla paura di rimanere senza un bene che, considerato di primaria importanza, ha portato molte persone a fare scorta del bene stesso”, sottolineano gli psicologi Marilena Maglia e Lucio Inguscio, due degli autori dello studio.

“Il consumo dei fumatori e degli svapatori è rimasto fondamentalmente lo stesso” precisa il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, che ha diretto lo studio. “Il 30% degli ex-fumatori, ha però dichiarato di voler ricominciare a fumare, e questo è forse il messaggio più importante che emerge dal nostro studio: in condizioni di pericolo, stress e ansia, chi aveva smesso di fumare è a forte rischio di ricaduta nel vizio”. Sarebbe interessante scoprire se questi ex fumatori hanno poi ricominciato davvero.

E passata l’emergenza bisogna chiedersi quali strategie adottare per ridurre il numero di fumatori. Da diversi giorni la politica si interroga, ad esempio, sulla tassazione dei prodotti a tabacco riscaldato.

“Una tassazione proporzionata basata sul livello di riduzione del rischio è – secondo me – l’unica via che può garantire un impatto significativo in termini di salute pubblica”, commenta Polosa. “Se ci pensiamo bene una politica fiscale differenziata in base alla riduzione del rischio viene già’ applicata per gli alcolici; ai super-alcolici, che presentano un rischio maggiore, applichiamo una tassazione più elevata, mentre vino e birra pagano meno tasse. Basterebbe applicare questa stessa logica ai prodotti senza combustione, con tassazioni più’ elevate per le sigarette convenzionali”.

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