Sanità, scienza, salute: le sfide per il futuro al Commonground del Maker Faire di Roma

Come saranno la sanità e la gestione della salute nel futuro? Quali tecnologie saranno disponibili e quali lo sono già? Come evolveranno la medicina e la ricerca scientifica nei prossimi anni? Di questo si è parlato in occasione del Commonground, una serie di eventi che anticipano la decima edizione del Maker Faire Rome, che si terrà dal 7 al 9 ottobre a Roma, e che si è aperto il 3 ottobre con il primo evento dedicato proprio al tema della salute. Esperti in stampa 3D, dispositivi indossabili e terapie digitali insieme con rappresentanti del mondo farmaceutico, di associazioni pazienti e del mondo clinico si sono susseguiti in quattro Talk, incentrati sull’argomento, due dei quali organizzati da Sics, Società italiana di comunicazione scientifica e sanitaria.

Conversazioni, ragionamenti e visioni sul mondo che verrà. Un panel per raccontare al pubblico gli scenari del futuro della sanità. Tecnologie e nuovi device, servizi sempre più personalizzati, presentazioni smart in grado di migliorare la gestione del rischio e delle criticità.

Le sfide che la sanità di oggi deve saper cogliere per una migliore sanità del futuro sono legate alle nuove tecnologie che possono essere impiegate sia nei servizi di telemedicina e assistenza domiciliare al paziente, sia nella pratica clinica e nella ricerca, sia in programmi di supporto per i professionisti.

Migliorare la salute dei pazienti significa garantire l’accesso a dei percorsi di cura strutturati e alle terapie più innovative oggi a disposizione. La pandemia è l’esempio di come l’innovazione e la tecnologia siano riuscite, in poco tempo, a ribaltare drasticamente l’andamento di una malattia che non si conosceva e che provocava migliaia di morti. Quando si parla di terapia spesso si pensa, limitatamente, solo al farmaco. Ma terapia è anche device, terapia è anche digitale. Proprio di terapie digitali ha parlato Giuseppe Recchia, Co-Founder&Ceo di daVi DigitalMedicine.

“Terapia è migliorare la salute delle persone. Digitale vuol dire software. Quindi parliamo di un software che in modo diretto migliora lo stato di salute, lo stato di malattia, di un paziente”, ha detto Recchia. Anche la terapia digitale, come i farmaci, “è sviluppata con sperimentazione clinica, randomizzata e controllata” e obiettivo principale è quello di modificare “i comportamenti disfunzionali delle persone, quindi quei comportamenti che sono alla base di molte malattie croniche” come alimentazione, attività fisica e stato del sonno. Le terapie digitali, ha proseguito Recchia sono approvate dagli enti regolatori e rimborsati dai servizi sanitari e devono essere prescritte dal medico. “La differenza rispetto al farmaco è che il principio attivo, e quindi l’elemento che produce la salute, è un algoritmo e non è una molecola chimica biologica”.

Attualmente ve ne sono una ventina già approvate soprattutto in America e in Germania, ma anche l’Italia sta cominciando a fare ricerca in questo senso. Ciò riflette la situazione di generale arretratezza tecnologica in cui purtroppo si trova l’Italia rispetto ad altri Paesi del mondo. “Ciò che per noi è futuro non lo è per altri Paesi”, ha detto Recchia alludendo al fatto che in altre realtà è il presente. La vera sfida dunque è quella di mettersi al passo.

Parla infatti di “start up Nation” Elio Tesciuba, Ceo di Atid Medical, riferendosi a Israele, Paese leader nell’innovazione e con il quale Tesciuba collabora da vent’anni. “Con l’evoluzione tecnologica digitale dei dispositivi, dei laboratori di analisi, dell’analisi delle immagini noi dobbiamo capire come poter aiutare il medico a fare meglio il suo lavoro”, ha esordito. “Io dividerei il futuro del mondo sanitario in tre grandi blocchi: la parte digitale, quindi big data e intelligenza artificiale, dispositivi medici quindi software e hardware, e poi il mondo della logistica”. Tanti gli esempi portati all’attenzione del pubblico: dall’esoscheletro per paraplegici e tetraplegici già in uso e validato dalle autorità competenti, alle magliette che, tramite intelligenza artificiale, elaborano i parametri vitali di pazienti post intervento al cuore e li comunicano al cardiologo di riferimento, fino ai droni dedicati al trasporto di organi e sangue. La vera domanda però, per Tesciuba, è “quando utilizzare queste tecnologie? Quando è veramente urgente? Chi decide il quando?”. All’innovazione va necessariamente accostata una gestione e una logistica che sono parte integrante del progresso.

Dai dispositivi indossabili alla stampa 3D in medicina. Come illustrato da Luca Borro, Biomedical Engineer, 3D medical specialist all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, negli ultimi dieci anni la tecnologia 3D ha subito una spinta molto forte. Le applicazioni sono sostanzialmente due: “una rivolta ai medici i quali con la medicina 3D fanno delle pianificazioni operatorie prima di andare direttamente su un paziente. L’altra applicazione è più di ricerca è riguarda il bioprinting, che è una tecnologia molto interessante perché invece di stampare materiali plastici, stampa direttamente cellule o matrici extracellulari”, ha precisato Borro. La cosa interessante di quest’ultima applicazione è che “potrebbe permettere in futuro di avere una rigenerazione dei tessuti danneggiati e quindi, potenzialmente, anche la rigenerazione d’organo” il che potrebbe portare ad abbattere i tempi delle liste d’attesa per i trapianti. Per quanto riguarda l’Italia, sulla scia di quanto sviluppato già in America, anche al Bambino Gesù è stato sviluppato, per pazienti pediatrici, un sistema per il trattamento delle tracheobroncomalacie, delle patologie delle vie aeree che comportano una degenerazione del tessuto tracheale bronchiale. “Abbiamo stampato in 3D uno sprint in grado di tenere aperta la via aerea. Lo sprint si riassorbe nel corso degli anni ma riesce a mantenere aperta la via aerea, tanto da risolvere la patologia alla base della disfunzione respiratoria del paziente”.

Ma di quali tecnologie ha veramente bisogno la sanità? A rispondere a questa domanda è stato Luca Foresti, Ceo del Centro Medico Sant’Agostino di Milano, intervenuto da remoto. Per Foresti le tecnologie necessarie sono quelle che consentiranno di supplire al progressivo declino del rapporto numerico tra medico e paziente. Per l’esperto siamo di fronte a due circostanze che cambieranno la sanità del futuro: “l’invecchiamento della popolazione e una gobba demografica nel mondo delle professioni sanitarie che produrrà nei prossimi 10 anni una carenza mostruosa di sanitari”, ha detto. Le tecnologie veramente necessarie sono quelle che potranno aiutare a sopperire alla carenza di medici in relazione ai pazienti. E le tecnologie di cui parla Foresti esistono già. Per esempio, per i medici di medicina generale “la tecnologia fondamentale dei prossimi anni sarà la chat” che dovrà però essere implementata in modo tale da rispettare le norme sulla privacy. Oppure ancora il fascicolo sanitario elettronico al quale andrebbero associati degli algoritmi in grado di analizzare i dati del paziente in base allo specialista che ne fa richiesta. Per Foresti dunque a volte non serve guardare troppo lontano per implementare processi efficienti e trovare tecnologie efficaci.

Applicare una scoperta scientifica o una nuova soluzione tecnologica ha bisogno di una organizzazione e di una visone globale che non può prescindere dalle spinte del cambiamento. Parliamo quindi di un approccio One Health, che si basa su un concetto molto semplice che è quello secondo cui su questo pianeta la salite dell’uomo, la salute di ogni elemento animale e la salute ogni elemento ambientale è indissolubilmente legato e interdipendente. Per Chiara Paglino, Head of Medical Affairs di Boehringer Ingelheim Italia, “il concetto One Health, negli ultimi anni, è diventato un vero e proprio paradigma per ripensare la definizione stessa di salute e di benessere. Il modello One Health implica un approccio alla ricerca che sia transdisciplinare perché gli obiettivi vengono disegnati da tutti gli interlocutori e cambia l’intento che diventa sociale e non è più di parte”. Secondo Paglino le aziende farmaceutiche hanno una grossa responsabilità nell’abbracciare e promuovere questo paradigma perché “si occupano di salute umana ma devono farlo in modo sostenibile coerente con il benessere ambientale e animale”. Come tradurre questo approccio nella pratica? L’esempio di Boehringer Ingelheim è “attraverso i tre pilastri dello sviluppo sostenibile per le generazioni future quali: ‘more health’, quindi più salute per umani e animali, ‘more potential’ che significa rivolgersi alle comunità e ‘more green’ con l’impegno di diventare carbon zero entro il 2030, di ridurre il consumo di acqua e di affidarsi solo a energia rinnovabile”.

Tornando all’innovazione, possiamo dire che la medicina di precisione è una realtà in Italia e lo testimoniano i grandissimi passi avanti fatti in ambito oncologico. “Oggi la medicina personalizzata e il sequenziamento genico, sempre più avanzato, ci permettono di trovare cure disegnate sull’anomalia biologica del tumore e quindi mirate e personalizzate”, ha spiegato Luigi Cavanna, Direttore Dipartimento di oncologia-ematologia e Direttore di UOC di Oncologia Medica, ASL di Piacenza – Presidente Cipomo. Di contro però è necessario sempre tenere amente che i progressi scientifici in ambito clinico, come il sequenziamento genico o le terapie sviluppate su base molecolare, vengono poi utilizzati su delle persone “che hanno la propria vita e il proprio vissuto”. Per Cavanna quindi accanto alla tecnologia ci deve essere il valore umano: “il malato va curato nella sua interezza avendo sì a mente il bersaglio, ma rispettando e cercando di migliorare il più possibile la sua qualità di vita”.

Curarsi dell’ambiente e di sé stessi vuol dire anche fare prevenzione. La pandemia ha portata anche una forte spinta alla ricerca e la messa a punto dei vaccini anti Covid-19 ne sono l’esempio principe. A parlare della tecnologia a mRNA è stata Cinzia Marano, Italian Medicine Director Moderna

“I vaccini a mRNA sono diversi dai vaccini tradizionali, in quanto non contengono né batteri né virus attenuati o vivi attenuati”, ha spiegato. In sostanza, questi vaccini “rappresentano un’informazione che viene fornita al sistema immunitario attraverso la consegna ai ribosomi, che traducono le informazioni necessarie per creare la proteina, nel caso specifico del Covid parliamo della proteina Spike. Quindi il sistema immunitario attraverso le cellule riceve l’informazione che poi trasformerà per consentire la risposta immunitaria nel momento in cui il nostro organismo si troverà ad incontrare il virus”. Parole chiave per descrivere questa tecnologia sono velocità e flessibilità.

Sul primo punto Marano porta un semplice esempio che però vale la cifra dell’innovazione. “A dicembre 2020 fu identificata la sequenza del virus che stava causando delle polmoniti particolarmente preoccupanti. Da quel momento fino alla sequenza definitiva della stringa di RNA che è stata poi inserita nel vaccino sono passati due giorni. Da quel momento allo sviluppo del vaccino finale sono passati 11 mesi”, meno di un anno quindi. Per quanto riguarda la flessibilità, questi vaccini “vengono elaborati attraverso un algoritmo matematico che consente di identificare la sequenza dell’RNA più appropriata alla creazione della specifica proteina”, ha spiegato Marano. Questo è ciò che garantisce la “grandissima flessibilità per quanto riguarda gli aggiornamenti dei vaccini. È possibile anche creare dei vaccini combinati, quindi aggiungere più informazioni per i virus per patologie diverse e quindi provare, con vaccinazioni combinate, a combattere più di una malattia infettiva”. La tecnologia a mRNA ha grande potenziale e come ricordato da Marano può essere utilizzata non solo in prevenzione ma anche come terapia. I futuri sviluppi potrebbero essere infatti nella cura delle malattie rare e nella realizzazione di vaccini terapeutici in ambito oncologico.

Infine, anche la produzione risente dell’innovatività di questa tecnologia. Marano suggerisce di immaginare un container all’interno del quale poter far entrare tutta la strumentazione necessaria alla realizzazione del vaccino a mRNA. Nulla a che vedere dunque con i tradizionali bioreattori. “Ciò significa che questa tecnologia può essere trasportata in maniera agevole e veloce anche nei paesi in cui il sito di produzione non dovesse essere presente”.

Per agevolare la fruibilità, da parte dei clinici e di tutti gli addetti ai lavori, di tutte le innovazioni di cui abbiamo parlato fin ora servono dei Decision Support Program, ovverosia dei programmi di supporto alle attività cliniche. A parlare di questi strumenti che necessariamente rientrano nella sanità del futuro per un miglioramento della governance è stato Giorgio Moretti, Presidente di Dedalus. Presupposto da cui partire è l’evidenza del fatto che oggi i professionisti della sanità ricevono una quantità di informazioni non paragonabile al passato e questo per la continua innovazione e ricerca in ambito clinico e scientifico. Come ricordato da Moretti, “il Covid ha sdoganato l’importanza del dato clinico”. La necessità è quella di rendere questo dato clinici fruibile a tutti i medici, con un linguaggio universale che renda possibile la comunicazione “in un ecosistema vasto”. “Il punto di base è quello di evolvere nella capacità di raccogliere dati su standard internazionali. Tutto ciò che è legato alla storia clinica di un paziente dovrà essere comprensibile, etichettabile e riusabile”, ha proseguito Moretti. Senza questo passaggio non sarà possibile implementare i sistemi di supporto alle decisioni dei clinici che serviranno sia “di accelerare i tempi della ricerca clinica” sia di “elaborare linee guida e best practice in tempi rapidissimi con la possibilità di essere condivise e applicabili nella routine quotidiana”. Questi per Moretti sono i Decision Support Program che “aiuteranno e mai sostituiranno” il medico nel suo operato.

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