Parkinson: ancora un’evidenza per la stimolazione cerebrale profonda

(Reuters Health) – La stimolazione cerebrale profonda (DBS) sarebbe in grado di rallentare le progressione del tremore a riposo nelle forme precoci di malattia di Parkinson. A suggerirlo è un’analisi post hoc di uno studio pilota coordinato da David Charles, della Vanderbilt University di Nashville (USA). I risultati dello studio sono stati pubblicati da Neurology.

Lo studio
I ricercatori americani hanno analizzato i punteggio della Unifield Parkinson’s Disease Rating Scale-III (UPDRS-III) ottenuti da un precedente trial randomizzato pilota di due anni sulla DBS a livello del nucleo subtalamico in pazienti con Parkinson in fase iniziale. I pazienti arruolati avevano un’età compresa tra 50 e 75 anni ed erano stati trattati con farmaci anti-parkinson da sei mesi a quattro anni. In particolare, 14 pazienti hanno ricevuto solo la terapia farmacologica e 13 sia la terapia con farmaci, sia la stimolazione.Un valutatore esterno, lavorando in cieco, ha quindi valutato in video l’UPDRS-III all’inizio dello studio e a sei, 12, 18 e 24 mesi.

I risultati
E’ emerso che il gruppo trattato sia con stimolazione che con farmaci aveva una media dei punteggi motori complessivamente migliore rispetto al gruppo trattato solo con terapia farmacologica. Inoltre, tra l’inizio e 24 mesi, i punteggi di tremore a riposo sono stati peggiori tra chi riceveva solo i farmaci rispetto ai pazienti trattati anche con la stimolazione cerebrale.

Dall’inizio dello studio a 24 mesi, l’86% dei partecipanti in terapia farmacologica ha sviluppato tremore a riposo in arti precedentemente non interessati da questo sintomo, contro il 46% dei pazienti che ricevevano sia terapia farmacologica che stimolazione. In particolare, sette pazienti trattati con farmaci e stimolazione non hanno mostrato tremore a riposo in nessuno degli arti precedentemente non interessati dal tremore, e in un caso il tremore è scomparso in tutti gli arti colpiti.

I commenti
“Siamo rimasti sorpresi dal fatto che l’effetto fosse così potente, anche in un piccolo studio pilota come questo”, sottolinea David Charles . “Questa potrebbe essere la prima prova di una terapia che rallenta la progressione del Parkinson”. Il team ha ora in mente di condurre uno studio di fase III multicentrico e avviare l’arruolamento dei pazienti già dal prossimo anno. Secondo Alon Mogilner, del Center for Neuromodulation al NYU Langone Medical Center di New York, “tradizionalmente, negli ultimi 25 anni, si è sempre pensato che la chirurgia fosse l’ultima risorsa per i pazienti con malattia di Parkinson in fase avanzata. La chirurgia migliora la qualità di vita, i sintomi e ci sono crescenti evidenze che l’intervento chirurgico dovrebbe essere fatto prima. Questo studio sembra confermarlo”.

Fonte: Neurology
Lorraine Janeczko
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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