L’ormone della fame è alleato del cuore

shutterstock_95206894La grelina, l’ormone “della fame” noto per stimolare l’appetito, protegge i muscoli scheletrici e il cuore da danni ischemici. Lo rivela uno studio appena pubblicato su Nature Communications, svolto da un team di ricercatori dell’Icgeb di Trieste nell’ambito del progetto “FunSel”. Finanziato dalla Commissione Europea, il progetto di ricerca si prefigge di individuare, attraverso lo screening di tutti i geni del genoma umano, i fattori più efficaci da usare per scopi terapeutici per il trattamento dell’ischemia e dell’infarto del miocardio. L’applicazione di questa tecnica, nel caso sperimentale di ischemia acuta, ha rivelato le proprietà terapeutiche della grelina.

“Abbiamo scoperto che aiuta le cellule cardiache a riparare il danno subito. Dopo la sua somministrazione, le dimensioni dell’infarto risultano infatti molto ridotte”, spiega Serena Zacchigna, coautrice dello studio. Grazie alla tecnologia sviluppata nel corso degli ultimi anni dagli scienziati del Centro di Trieste, è possibile trasferire all’interno del cuore i geni che possiedono proprietà terapeutiche. I veicoli per questo trasferimento genico sono dei piccoli virus, inattivati e modificati geneticamente in modo da essere utilizzati come vettori. “Abbiamo anche scoperto – aggiunge Giulia Ruozi, prima autrice dell’articolo – il meccanismo con cui la grelina agisce come fattore protettivo: stimola un processo per cui le cellule danneggiate, anziché andare incontro a morte, distruggono gran parte del proprio contenuto per rimpiazzarlo con uno nuovo e funzionante”.

La grelina è il primo di molti altri fattori che il team di ricerca dell’Icgeb, nei laboratori in Area Science Park a Trieste, sta esaminando come possibili nuovi farmaci innovativi contro l’infarto. Per Mauro Giacca, coordinatore del team e direttore generale dell’Icgeb, “siamo molto entusiasti per questa scoperta e, più in generale, per la tecnologia FunSel che abbiamo sviluppato. Con degli screening funzionali possiamo identificare direttamente possibili farmaci biologici innovativi, saltando quindi lunghi passaggi di ricerca in laboratorio. La scoperta – conclude – potrebbe portare allo sviluppo di nuove terapie non soltanto per l’infarto, ma anche per altre malattie molto diffuse tra cui diabete, Alzheimer e altre neurodegenerative”.

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