Immunoncologia: inizia la nuova era per la cura del tumore alla vescica

La comunità degli oncologi è stata chiara: dopo 30 anni, il futuro delle terapie contro il tumore della vescica è chiaro e promettente. Le speranze per questo tumore che nel 2016 ha fatto registrare in Italia 26.600 nuovi casi, arrivano dall’immuno-oncologia che già ha dimostrato la sua efficacia per altre neoplasie come quelle del polmone o i melanomi. Proprio a questo nuovo approccio l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) dedica il convegno ‘Immunoterapia nei tumori del polmone e dell’urotelio, a che punto siamo?’.

In Italia le guarigioni dei pazienti colpiti da tumore del  polmone (14,3%) e della vescica (78%) sono più alte rispetto al resto d’Europa (rispettivamente 13% e 68,6%) e tali percentuali sono destinate a migliorare in modo significativo grazie appunto all’immuno-oncologia. Per i pazienti con cancro alla vescica, per decenni sono mancate significative novità: si tratta spesso di pazienti anziani e fragili, con molte altre patologie che limitano l’uso della chemioterapia. Eppure in Italia vivono quasi 87.800 persone dopo il tumore del polmone e 253.850 dopo quello della vescica. Si tratta infatti di due delle neoplasie più frequenti (la terza e la quinta), che fino a poco tempo fa non presentavano reali alternative terapeutiche se diagnosticate in fase avanzata.

Oggi, dopo più di 20 anni senza significative novità, l’immuno-oncologia sta modificando lo standard del trattamento anche in questi tumori. Oggi, “stiamo entrando nella seconda fase dello ‘tsunami’ provocato da questa rivoluzione terapeutica, per questo possiamo parlare di ‘immuno-oncologia anche per altre patologie neoplastiche”, afferma Carmine Pinto, presidente Aiom. Da un lato, spiega Pinto, “sono chiari i vantaggi dell’uso di questi farmaci immunoterapici in combinazione o in sequenza, ma è indispensabile individuare
fattori per selezionare al meglio i pazienti che hanno le migliori probabilità di ottenere un vantaggio. Ciò per ottenere insieme maggiore efficacia della cura e migliore utilizzo delle
risorse economiche”.

Per questo l’obiettivo, sottolinea Mauro Truini, presidente della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica, è di “armonizzare i diversi test sui biomarcatori e renderli fruibili diffusamente per incrementare la percentuale di malati in grado di rispondere ai trattamenti in funzione delle caratteristiche della neoplasia da cui sono colpiti”. Nel trattamento del carcinoma del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato “abbiamo a disposizione farmaci immunoncologici come il nivolumab ed il pembrolizumab e, più di recente, l’atezolizumab”. Ora, la novità è che questi stessi farmaci “si sono dimostrati attivi anche nel trattamento del carcinoma metastatico della vescica – conclude Paolo Marchetti, direttore dell’Oncologia Medica all’Ospedale Sant’Andrea di Roma – tanto che atezolizumab ha ridotto la massa tumorale in circa un quarto dei pazienti e aumentato la sopravvivenza”.

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