
“È chiaro che prima si interviene, migliori sono gli esiti”, ha dichiarato il Dott. Oussama Wazni della Cleveland Clinic in Ohio, autore principale dello studio STOP-AF. “Credo che queste evidenze cambieranno le linee guida, che attualmente raccomandano l’ablazione solo se la terapia farmacologica fallisce”.
L’evidenza più importante giunge dallo studio EARLY-AF condotto da Jason Andrade della University of British Columbia di Vancouver su 300 pazienti.
Nel test, i 154 pazienti assegnati a sottoporsi ad ablazione hanno ottenuto una riduzione del 52% del rischio di tachiaritmia atriale ricorrente a un anno.
Lo studio STOP-AF, condotto da Oussama Wazni e finanziato da Medtronic – ha randomizzato 203 pazienti in 24 centri medici statunitensi. Tutti presentavano fibrillazione atriale parossistica sintomatica ricorrente e non avevano ricevuto una terapia per il controllo del ritmo.
L’isolamento delle vene polmonari con un criopallone è stato eseguito su 104 pazienti. Il team di ricerca ha usato un elettrocardiogramma a 12 derivazioni periodico e il monitoraggio telefonico per valutare il successo della terapia.
A un anno l’ablazione è stata giudicata riuscita nel 74,6% dei pazienti e la terapia farmacologica ha funzionato per il 45,0% (P<0,001).
I tassi di eventi avversi gravi sono stati identici in entrambi i gruppi, attestandosi al 14%.
“Anche se la terapia farmacologica antiaritmica è raccomandata prima dell’ablazione nelle attuali linee guida, non riesce a prevenire la ricorrenza di fibrillazione atriale in una percentuale variabile tra il 43% e il 67% dei pazienti ed è stata associata a effetti avversi proaritmici ed extracardiaci potenzialmente gravi”, conclude Wazni.
Fonte: The New England Journal of Medicine
Gene Emery
(Versione Italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
