
“Questa scoperta ha un duplice significato clinico – prosegue – Innanzitutto, embrioni parzialmente malati, riportando anomalie cromosomiche, sono in grado di autocorreggersi e, una volta impiantati, le cellule sane prendono il sopravvento su quelle malate. Di conseguenza, potendo utilizzare anche questi embrioni ‘anormali’, possiamo aumentare le percentuali cumulative di successo della fecondazione in vitro”. La scoperta, sottolinea Greco, ”ha inoltre un profondo significato etico: tali embrioni non verranno più lasciati congelati o, come avviene in altri Paesi, eliminati”.
Nello studio pilota, sono stati analizzate oltre 3.800 blastocisti (l’insieme di cellule che si formano entro le prime 2 settimane dalla fecondazione), delle quali il 5% circa sono risultate a mosaico. Sono stati così effettuati 18 impianti. Da questi sono nati 6 bambini sani, 5 femmine e 1 maschio, mentre i restanti embrioni non hanno attecchito. I piccoli, che oggi hanno circa un anno, ha detto Greco, ”stanno tutti bene”. Questi risultati sottolineano inoltre l’importanza dell’indagine genetica preimpianto, ”per verificare la qualità genetica dell’embrione prima di trasferirlo in utero, per non escludere embrioni all’apparenza non idonei e per una maggiore sicurezza della donna e del nascituro”, sottolinea l’esperto.
