Emoglobinuria parossistica notturna: servono diagnosi precoci e accurate. Uno dei bisogni dalla voce dei pazienti

È dedicata all’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) la nuova puntata di The Patient’s Voice, il format di Homnya pensato per dare voce ai pazienti e aumentare la consapevolezza sulle varie patologie di volta in volta trattate. Una puntata che ha messo a confronto voci di clinici e vissuti personali, per tracciare un quadro chiaro di una patologia complessa e con un forte impatto sui pazienti e i caregiver. Ospiti dell’incontro condotto da Marzia Caposio sono stati Valeria Di Giacomo, ematologa presso l’Azienda ospedaliera Papardo di Messina, Cristina Lissa, ematologa all’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e i pazienti Ignazia Tomarchio ed Emiliano Zorzi

Cos’è l’emoglobinuria parossistica notturna
A delineare il profilo clinico della malattia è stata la dottoressa Valeria Di Giacomo, ematologa presso l’Azienda ospedaliera Papardo di Messina: “Si tratta di una malattia cronica ultra-rara, con un’incidenza di circa un caso ogni due-tre milioni di persone. È genetica, ma non ereditaria: deriva da una mutazione acquisita nelle cellule staminali emopoietiche, che porta alla produzione di cellule del sangue prive di alcune proteine di superficie. Queste proteine normalmente difendono le cellule dall’attacco del complemento, un sistema del nostro organismo deputato a combattere le infezioni. In assenza di questa protezione, i globuli rossi vengono distrutti prematuramente nel circolo sanguigno, provocando emolisi, anemia, presenza di emoglobina nelle urine e, in molti casi, eventi trombotici gravi”.

Un’anemia che non si vede (subito)
Il problema, come ha sottolineato anche la dottoressa Cristina Lissa, ematologa all’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, è che l’EPN spesso si presenta con sintomi aspecifici. “Anemia improvvisa, affaticamento, urine scure, ma anche trombosi in sedi inusuali come l’addome o il sistema nervoso centrale. La diagnosi non è semplice. L’esame che consente di confermare l’EPN è la citofluorimetria a flusso, un test ematico che individua le cellule difettose”.

La voce dei pazienti: storie di ritardi, ostacoli e rinascite
Due pazienti, Ignazia Tomarchio ed Emiliano Zorzi, hanno raccontato le loro esperienze. Ignazia convive con l’EPN da oltre 25 anni: “Ho iniziato con forti dolori allo stomaco e urine scurissime. I medici inizialmente pensavano ad una leucemia. Solo dopo anni di trasfusioni, cortisone e un ictus, sono arrivata alla diagnosi. Oggi grazie a una nuova terapia che posso fare a casa, non devo più spostarmi ogni 15 giorni. La malattia è sotto controllo”. Emiliano, invece, amante dello sport, ha scoperto di avere l’EPN quasi per caso: “Stavo bene, avevo appena concluso una traversata in montagna. Ma le analisi mostravano valori ematici quasi a zero. Mi è stata diagnosticata prima un’anemia aplastica, poi l’EPN. Ora con il nuovo trattamento ho ripreso a camminare, a vivere”.

Cura e qualità della vita: oggi c’è speranza
La terapia per l’EPN ha fatto passi enormi. “Fino a vent’anni fa – racconta Lissa – l’unica possibilità era la terapia di supporto con trasfusioni e cortisone. Oggi esistono farmaci mirati che bloccano il complemento a diversi livelli (C5 e C3), riducendo le crisi emolitiche, la necessità di trasfusioni e il rischio trombotico”. Esistono anche nuove formulazioni che consentono al paziente di autogestire la terapia domiciliare. “I livelli di emoglobina migliorano, i sintomi si riducono e la qualità della vita cambia radicalmente. Il paziente può tornare a lavorare, a fare sport, a viaggiare”, aggiunge la specialista.

Non solo terapia: serve ascolto e continuità
“Cambiare trattamento è un momento delicato – ricorda Di Giacomo – ed è fondamentale il dialogo tra medico e paziente. Una terapia non si impone: si condivide, si costruisce insieme. Solo così il paziente aderisce con fiducia e costanza”. Il messaggio che si evince però dalle parole dei pazienti è chiaro: servono diagnosi precoci, percorsi terapeutici personalizzati, e soprattutto un sistema sanitario che garantisca equità di accesso su tutto il territorio nazionale.

Di Isabella Faggiano

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