Screening mammografico: arriva il 3D

La mammografia in 3D è la nuova frontiera della prevenzione contro il tumore al seno e l’ultima evidenza scientifica che va ad aggiungersi alle tante in materia. A sostenerlo è uno studio svedese che ha esaminato ben 15.000 donne per cinque anni. La mammografia in 3D permette di individuare oltre il 30% in più dei tumori rispetto all’esame tradizionale e in Italia inizia già ad esser diffuso in numerosi centri, anche se non è ancora l’esame utilizzato per gli screening sulla popolazione femminile over 50. La pubblicazione è apparsa sulla rivista Lancet Oncology a ottobre, mese della campagna mondiale per la prevenzione del cancro al seno.

Con 52.800 nuovi casi nel solo 2017 (dati Aiom) il tumore al seno è quello che viene più di frequente diagnosticato in Italia. Ma nonostante le diagnosi aumentino, è migliorata notevolmente anche la possibilità di sopravvivenza, grazie a programmi di screening che prevedono l’offerta gratuita e attiva della mammografia alle donne fra i 50 e i 69 anni. Esami in cui ad oggi viene usato lo screening mammografico tradizionale, in cui tutto il tessuto mammario viene catturato in un’unica immagine.

La tomosintesi del seno, ovvero la mammo in 3D, invece cattura diverse immagini a raggi X da diverse angolazioni che vengono ricostruite da un computer per mostrare sottili strati del seno, fornendo maggiori informazioni. Lo studio condotto in Svezia tra il 2010 e il 2015, conferma su ampia scala i risultati di un’indagine italiana apparsa su Radiology. “Utilizzando l’esame in 3D, il 34% in più di tumori del seno o è stato rilevato rispetto allo screening mammografico usato come standard corrente”, spiega Sophia Zackrisson, professore associato presso Lund University. In particolare l’esame è stato in grado di trovare tumori in seni più densi, ovvero quelli più difficili da studiare e che possono nascondere per più tempo noduli maligni di piccole dimensioni. Attualmente è offerta in molti centri in Italia, ma nei programmi di screening gratuiti rivolti alle donne over 50, viene offerta in 3D solo in limitati casi di studio, come Reggio Emilia e Torino.

“Negli Usa è già utilizzato come screening generalizzato sulla popolazione femminile. In Italia probabilmente lo sarà di qui a 5 anni”, spiega Pierluigi Rinaldi, dirigente medico di Radiologia della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma. “Attualmente questo esame è previsto in diversi protocolli di studio, normalmente limitati a pazienti giovani, ad alto rischio per storia familiare e con seno denso. O, ancora, viene usato in alcuni casi per approfondimenti di secondo livello. Probabilmente in futuro sarà usato su tutta la popolazione femminile”.

Un’opportunità che si sta valutando con attenzione. “I dubbi – precisa Marco Zappa, direttore Osservatorio nazionale screening (Ons) – riguardano i rischi di sovradiagnosi. Questo metodo, infatti, avendo una maggiore sensibilità, porta anche all’identificazione di tumori che, pur essendo realmente tali, non necessariamente sono destinati ad evolversi in modo clinico, ovvero facendo dei danni all’organismo”.

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