Ecco cosa sappiamo, sulla base degli elementi disponibili provenienti da fonti ufficiali. Secondo i dati del Ministero della Salute aggiornati alle ore 18:00 del 24 febbraio, le persone che sono state contagiate dal nuovo coronavirus Sars-CoV-2 nel nostro Paese sono in totale 229. Di queste, sei sono decedute (2,6%) e una persona è guarita. Delle 222 persone in osservazione e trattamento, 101 sono ricoverate con sintomi (quindi il 44%), 23 sono in terapia intensiva (il 10%) e 91 sono in isolamento domiciliare (39,7%).

Ciò che viene spesso ribadito è che tutti i dati e tutte le stime sono provvisorie e incomplete, ci si può basare, per fare una valutazione, solo sugli studi epidemiologici condotti fin ora.

Lo studio più completo di cui disponiamo effettuato dal  Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie della Cina e ripreso da Jama il 24 febbraio, si basa sull’analisi di 72.314 casi registrati in Cina fino all’11 febbraio. Tra questi, 44.672 sono stati classificati come casi confermati di COVID-19, 16.186 come casi sospetti sulla base dei sintomi, 10.567 come casi diagnosticati clinicamente e 889 come casi asintomatici. Prendendo in considerazione esclusivamente i casi confermati emerge che la maggior parte dei pazienti ha tra i 30 e i 79 anni, il 3% è costituito da adulti oltre gli 80 anni, mentre i bambini tra gli 0 e i nove anni e i giovani tra i 10 e i 19 rappresentano ognuno l’1% dei casi totali.

La maggior parte dei casi, l’81%, è stata considerata come lieve, quindi i pazienti non presentavano affatto, oppure solo in forma lieve, la polmonite. Il 14% dei casi ha sviluppato una forma severa dell’infezione, caratterizzata da dispnea, una frequenza respiratoria superiore o uguale a 30/minuto, una saturazione di ossigeno nel sangue inferiore o uguale al 93%, una pressione parziale dell’ossigeno arterioso rispetto alla frazione di ossigeno inspirata inferiore a 300 e/o infiltrazioni polmonari tra le 24 e le 48 ore. Il 5% dei casi era critico, con insufficienza respiratoria, shock settico e disfunzione multiorgano.

Il tasso di letalità, quindi la percentuale di morti rispetto ai casi registrati, è del 2,3%. Una percentuale che viene considerata una sovrastima, poiché non prende in considerazione i casi asintomatici o comunque non confermati da una diagnosi. Non si è verificato nessun decesso tra i bambini al di sotto dei 9 anni, mentre il tasso di letalità tra le persone tra i 70 e i 79 anni è dell’8% e nei più anziani del 14,8%. La mortalità è anche particolarmente elevata in pazienti con comorbidità: del 10,5% in persone affette da malattie cardiovascolari, del 7,3% in persone con diabete e del 6,% circa sia tra le persone affette da malattie croniche respiratorie sia per le persone con ipertensione, del 5,6% nei casi di cancro. Nei casi considerati lievi o severi non si sono verificati decessi.

Quindi, anche se le persone di ogni età possono essere colpite dal virus, come ricorda l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), gli anziani e le persone affette da condizioni cliniche preesistenti, e in particolare diabete e malattie cardiovascolari, sembrano essere più vulnerabili e suscettibili di sviluppare una forma grave di infezione.

“Covid-19 non è mortale come altri coronavirus come Sars e Mers”, ha dichiarato Mike Ryan, capo del Programma di emergenze sanitarie dell’Oms nel corso di una conferenza stampa a Ginevra nei giorni scorsi. In effetti, il tasso di letalità della Sars era del 9.6%, mentre la Mers, ha ancora un tasso di letalità del 34,4%. Comunque, in assoluto, COVID-19 ha portato ad un numero maggiore di decessi, perché il numero di persone colpite, rispetto a Sars e Mers, è più elevato.

Il tasso netto di riproduzione dell’infezione, quindi il numero di infezioni secondarie prodotte da un paziente, è stimato tra 1,4 e 3. Sono sempre stime molto imprecise, perché l’elevato numero di casi lievi, o asintomatici, non permette un calcolo esatto.

In Italia, ha commentato Giovanni Rezza, a capo del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, “si osserva un aumento esponenziale dei casi perché adesso li stiamo cercando”. Gli dà ragione Pier Luigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa: “Se iniziassero a fare tanti test, anche in Germania probabilmente salterebbe fuori un gran numero di casi. I virus respiratori non hanno confini”.

Casi asintomatici e molti casi lievi che rendono difficile l’identificazione dell’infezione e anche distinguerla da una semplice influenza. I sintomi principali del coronavirus riportati in diversi studi, proprio come quelli dell’influenza, sono febbre (nel 99% dei casi circa), stanchezza, tosse, gola secca e fiato corto. A volte anche mialgia e mal di testa.

Contrariamente a ciò che accade per l’influenza però, non abbiamo difese immunitarie contro questo virus, come spiega Lopalco: “Il coronavirus aggredisce una popolazione totalmente vergine, che non ha anticorpi e non ha ancora trovato un vaccino. Non sappiamo se i contagiati saranno 100 mila o 5 milioni, quindi non sappiamo neppure quanto grande in termini assoluti sarà quel 20% di casi gravi. Per questo, gli ospedali devono essere preparati”.

E questo giustifica tutti i provvedimenti presi da parte delle istituzioni, come spiega Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano: “La ragione per cui le istituzioni hanno adottato dei provvedimenti di sanità pubblica è che si tratta di un virus nuovo, per cui nessuno di noi ha gli anticorpi. Quindi lo scenario è quello della spagnola del 1918. La malattia non è grave ed è poco contagiosa, ma se si lasciassero le cose come sono, senza prendere provvedimenti, ci ritroveremmo in una situazione in cui in 6/8 settimane il 35-40% della popolazione sarebbe contagiato”.