Alzheimer: non sempre la perdita di memoria ne è il primo segno

shutterstock_128576327(Reuters Health) – Un grande studio statunitense sostiene che, sebbene la perdita di memoria sia considerata un classico primo segno di malattia di Alzheimer, alcuni individui di mezza età e giovani anziani possono avere altri problemi cognitivi come difficoltà nel linguaggio o nella risoluzione dei problemi.

I ricercatori hanno analizzato i dati sui primi sintomi riportati da quasi 8.000 pazienti di Alzheimer e hanno riscontrato che un quarto delle persone sotto i 60 anni presentava un importante disturbo non collegato alla memoria, sebbene essa fosse ancora di gran lunga il problema più comune.

“I primi sintomi cognitivi non legati alla memoria erano più comuni in malati di Alzheimer giovani”, ha dichiarato l’autrice principale dello studio Josephine Barnes, ricercatrice al National Hospital for Neurology and Neurosurgery di Londra. “Bisognerebbe usare i test che indagano questi problemi cognitivi diversi da quelli mnemonici in modo da non sottovalutarli”.

Barnes e colleghi hanno esaminato i risultati dei test neurologici contenuti in un grande database di pazienti affetti da Alzheimer per capire se i primi sintomi riportati dai pazienti differissero in base all’età.

In media, i soggetti avevano 75 anni quando hanno richiesto per la prima volta una cura per la malattia, anche se l’età andava dai 36 ai 110 anni. La maggior parte di loro presentava una demenza da lieve a moderata.

Tra i pazienti che hanno riferito difficoltà cognitive come primi sintomi, la proporzione che ha citato altro rispetto alla memoria si è ridotta con l’aumentare dell’età. Un malato su cinque con un’età tra i 60 e i 70 anni ha lamentato difficoltà non collegate alla memoria, ma questo rapporto si è ridotto a uno su dieci per le persone tra i 70 e gli 80 anni.

Poiché l’Alzheimer può essere definitivamente diagnosticato solo con l’autopsia, questo come altri studi che indagano la malattia, corre il rischio di includere almeno alcuni pazienti che in realtà non ne sono affetti, hanno ammesso gli autori sull’edizione online del 24 aprile del giornale Alzheimer’s and Dementia.

Inoltre – hanno osservato gli autori – poiché la ricerca ha incluso pazienti di ospedali universitari, questo potrebbe aver attirato casi più complessi e non rappresentare il tipico e più comune malato di Alzheimer.

Capire come possono emergere i sintomi della malattia in pazienti giovani è fondamentale per una diagnosi precoce e per iniziare il trattamento quando esso può raggiungere risultati migliori, ha affermato Andrew Budson, primario di Neurologia cognitiva e comportamentale al VA Boston Healthcare System e professore di neurologia alla Boston University.

Il farmaco migliore disponibile può solo riportare indietro le lancette dell’orologio, inducendo una reversione dei sintomi sufficiente a dare ai pazienti le stesse capacità che avevano fino all’anno precedente, ha dichiarato Budson.

“L’orologio non può essere rallentato, ma solo rimesso”,ha concluso. “È meglio farlo quando si hanno sessant’anni che quando se ne hanno ottanta”.

FONTE: Alzheimer’s and Dementia 2015

Lisa Rapaport

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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