Alzheimer: depositi proteine amiloide e tau presenti anni prima dei sintomi cognitivi

(Reuters Health) – Nelle persone che soffrono della forma genetica dell’Alzheimer, che si sviluppa in giovane età e dipende da mutazioni che si trasmettono per via autosomica dominante, l’accumulo di proteine amiloide e tau sarebbe rilevabile anni prima dello sviluppo dei sintomi a livello neurologico. È quanto avrebbe evidenziato uno studio pubblicato su JAMA Neurology e coordinato da Yakeel Quiroz, del Massachusetts General Hospital di Boston.

Lo studio
I ricercatori americani hanno utilizzato la tecnica di imaging PET per analizzare il cervello di 12 portatori di mutazioni E280A a livello del gene della presenilina 1 (PSEN1), responsabile della forma genetica di Alzheimer che ha colpito una famiglia colombiana, residente ad Antioquia. Attraverso l’esame, i ricercatori hanno caratterizzato il carico di proteina amiloide, l’accumulo di proteina tau e la loro associazione. Delle 12 persone prese in considerazione, nove non avevano alterazioni a livello cognitivo e tre sì, e i risultati raccolti da queste persone sono stati confrontati con 12 non portatori della mutazione, di pari età e appartenenti alla stessa comunità.

I risultati
E’ emerso che tra le persone che non avevano mutazione, nessuna aveva un aumento dell’accumulo di proteina amiloide, mentre tra coloro che avevano la mutazione, la più giovane, di 28 anni, non aveva accumulo di questa proteina, ma a partire dai 29 anni, i portatori di mutazione aveva elevati livelli di amiloide, con sette portatori su nove oltre i 30 anni che a quest’età avevano raggiunto la soglia di positività della proteina. I livelli cerebrali del cosiddetto Pittsburgh Compund B, un marker di accumulo della proteina amiloide, erano più elevati, inoltre, tra i portatori di mutazioni con lieve deterioramento a livello cognitivo, mentre erano più bassi tra coloro che non avevano la mutazione e intermedi tra coloro che avevano la mutazione, ma non avevano ancora problemi cognitivi. Per quel che riguarda la proteina tau, invece, questa sarebbe stata elevata a livello di corteccia entorinale, ippocampo e giro paraippocampale tra i portatori della mutazione, rispetto ai non portatori. Tra i portatori che non avevano ancora effetti cognitivi, invece, l’accumulo di tau era evidente a livello di lobo temporale mediale e nelle regioni temporali inferiori, mentre i portatori con alterazione cognitiva intermedia avevano un accumulo più consistente nelle regioni inferiore e laterale temporo-parietale, parietale-occipitale e posteriore del cingolo-precuneo. Infine, livelli elevati di tau sarebbero stati osservati tra i portatori di mutazione con meno di 38 anni.

Sintomi predittivi
Secondo i ricercatori, dunque, i livelli di deposito di tau erano elevati tra i portatori di mutazione sei anni prima dei sintomi clinici dell’Alzheimer, mentre i livelli di amiloide erano più alti circa 15 anni prima dell’inizio presunto della manifestazione dell’Alzheimer. “La PET può essere utile come biomarker per distinguere individui ad alto rischio di sviluppare i sintomi clinici dell’Alzheimer, monitorare la progressione della malattia e valutare la risposta ai trattamenti modificanti la malattia”, spiegano gli autori gli autori. Secondo Richard Caselli, della Mayo Clinic di Scottsdale, in Arizona, anche se sono necessari ulteriori studi su persone non portatrici della mutazione, “questa ricerca dimostra certamente l’importanza dei risultati”, soprattutto a livello dell’utilizzo della PET “nell’individuare persone a rischio relativamente imminente di sviluppare i sintomi”.

Fonte: JAMA Neurology
di Will Boggs

(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)

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