Il 19 giugno è stata la Giornata mondiale dell’anemia falciforme. La malattia colpisce milioni di persone di diverse etnie in tutto il mondo, con circa 300.000 diagnosi annuali. Sebbene con l’idrossiurea si possa trattare la malattia e con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche si possa anche curare, i pazienti in tutto il mondo continuano ad avere una bassa qualità e aspettativa di vita a causa della mancanza di risorse.
Un editoriale di Lancet Haematology fa un punto sui passi in avanti dell’ultimo anno nel trattamento dell’anemia falciforme.
Gli autori sottolineano che manca una guida chiara per l’uso di oppioidi nell’anemia falciforme e questo crea frustrazione nei pazienti che continuano a soffrire. I dati degli studi di terapia genica (con bb1111) pubblicati dal New England Journal of Medicine a febbraio di quest’anno suggeriscono che un singolo trattamento può comportare una produzione prolungata di emoglobina modificata, una ridotta emolisi, la risoluzione di gravi eventi vaso-occlusivi e la necessità di un minor numero di trasfusioni. “I risultati di questi studi sono promettenti”, commentano gli autori dell’editoriale, “sebbene siano necessari dati a lungo termine per confermare la sicurezza. Inoltre, le attuali tecnologie richiedono l’estrazione e la modifica delle cellule staminali, a cui molti pazienti nei Paesi a basso e medio reddito non avranno accesso, date le strutture di produzione e ospedaliere richieste”.
Per i pazienti con anemia falciforme nel Regno Unito, l’anno passato ha visto il lancio di crizanlizumab, un anticorpo monoclonale che riduce la frequenza delle crisi vaso-occlusive, con miglioramenti sostanziali della qualità di vita per i pazienti che lo hanno ricevuto.
Nonostante questi progressi, sottolineano gli autori, l’anemia falciforme continua ad essere un esempio di iniquità sanitaria a livello nazionale e globale.
Bibliografia:
Sickle cell disease: a year in review. DOI:https://doi.org/10.1016/S2352-3026(22)00144-2
