Elisa Formenti
Come è nata l’idea di realizzare questo progetto e a chi si rivolge?
Il progetto, nato dagli insight e dalla voce dei pazienti, affronta uno dei problemi principali dei pazienti con mielofibrosi (MF): anemia e la dipendenza dalle trasfusioni, che hanno un forte impatto sulla qualità della vita. Si rivolge a pazienti, caregiver e stakeholder sanitari, tra cui direttori generali, onco-psicologi, ematologi, farmacisti e trasfusionisti.
Potrebbe descriverlo brevemente?
Il Progetto “BEAT” (The Burden in Myelofibrosis for Anemic and Transfusion-dependent patients) si concentra sull’impatto di anemia e dipendenza trasfusionale nei pazienti con MF, con l’obiettivo di migliorare la gestione clinica, ottimizzare i processi ospedalieri e sensibilizzare mediante iniziative di Patient Advocacy. Ha coinvolto 226 pazienti e caregiver e 37 professionisti sanitari, per analizzare sei aree chiave, tra cui carico dell’anemia, onere trasfusionale e supporto psicologico. I risultati, diffusi tramite la Monografia su Sole 24h Sanità, pubblicazioni scientifiche e campagne con l’associazione di pazienti AIPAMM, puntano a migliorare la qualità della vita e innovare la gestione ospedaliera.
Che risultati avete o volete raggiungere?
Il progetto evidenzia il forte impatto della trasfusione-dipendenza, con pazienti che impiegano fino a 133 ore annue nella gestione della malattia, un tempo significativamente superiore rispetto agli anemici non trasfusionali e ai non anemici. I costi per i pazienti trasfusionali superano di oltre 40 volte quelli dei non anemici, sottolineando l’urgenza di strategie mirate per migliorare la gestione della MF, con particolare attenzione all’anemia e alle necessità trasfusionali. C’è la necessità di innovazioni terapeutiche e di un’organizzazione ospedaliera più efficiente per ridurre i tempi di attesa e migliorare l’esperienza dei pazienti. Affrontare queste sfide potrebbe ridurre l’impatto economico sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN), migliorare la qualità della vita dei pazienti/caregiver e ottimizzare i risultati clinici.
Cosa pensa ci sia ancora da fare in questo ambito?
Per una migliore gestione della MF sono necessarie strategie mirate a trattare l’anemia, ridurre la trasfusione-dipendenza e investire in terapie innovative che allevino i sintomi e rallentino la progressione della malattia. È cruciale ottimizzare i processi ospedalieri, migliorando la gestione delle trasfusioni e riducendo i tempi di attesa, oltre a integrare il supporto psicologico nei percorsi di cura e riconoscere formalmente il ruolo dei caregiver, fornendo loro sostegno economico e formativo. Garantire equità nell’accesso alle cure richiede l’adozione di PDTA condivisi, il superamento delle disuguaglianze territoriali, la formazione dei medici di medicina generale e un rafforzamento della collaborazione tra ospedale e territorio per una presa in carico multidisciplinare e personalizzata. Inoltre, è fondamentale sensibilizzare sulle implicazioni economiche ed emotive della malattia, promuovendo consapevolezza istituzionale e una comunicazione chiara per pazienti e operatori sanitari. Solo un approccio integrato e collaborativo può migliorare la qualità della vita dei pazienti/caregiver a beneficio anche del SSN.
Qual è l’aspetto principale del Patient Advocacy Program che sarà più importante secondo lei nei prossimi anni?
Il Patient Advocacy Program nei prossimi anni si focalizzerà sull’ascolto attivo di pazienti/caregiver per affrontare bisogni concreti, come la gestione dell’anemia e la riduzione della trasfusione-dipendenza. Sarà essenziale sensibilizzare sull’impatto della MF, coinvolgendo gli stakeholder per sviluppare strategie mirate e soluzioni innovative. Si punterà a rafforzare il ruolo di pazienti/caregiver nei processi decisionali e nei percorsi di cura, garantendo informazioni chiare, supporto psicologico e valorizzando i caregiver nei PDTA attraverso modelli organizzativi più inclusivi e flessibili.