Margherita Lepre
Come è nata l’idea di realizzare questo progetto e a chi si rivolge?
“The Impossible Gym” nasce dalla consapevolezza dello stigma che ancora oggi circonda l’obesità e delle difficoltà che molte persone incontrano nel considerare la gestione del peso come un vero percorso di salute. Come azienda, sentiamo il dovere di contribuire a cambiare questa narrazione, offrendo una prospettiva scientifica e priva di giudizi. Vogliamo promuovere una visione che riconosca l’obesità come una malattia cronica, complessa e multifattoriale, non riducibile alla sola responsabilità individuale. Per rendere tangibile questa complessità, abbiamo trasformato la nostra campagna di awareness “Perdere peso non dipende solo da te” in un’installazione immersiva: una palestra simbolica e “impossibile”, dove allenarsi diventa un’impresa, come accade a chi convive con l’obesità contando solo sulle proprie forze. Fondamentale è stato il confronto con i pazienti, grazie alla collaborazione con Amici Obesi e la sua presidente Iris Zani, che ha patrocinato e co-costruito ogni fase del progetto. Il progetto si rivolge a un pubblico ampio, con l’obiettivo di sensibilizzare la società nel suo insieme: pazienti, operatori sanitari e decisori politici. L’intento è coinvolgere tutti gli attori per promuovere un reale cambiamento culturale.
Potrebbe descriverlo brevemente?
“The Impossible Gym” è un’installazione immersiva e itinerante che simula una palestra in cui gli attrezzi, resi inutilizzabili da elastici gialli, rappresentano la resistenza biologica che il corpo può opporre alla perdita di peso. Un insieme di meccanismi fisiologici e ormonali – come metabolismo, appetito e consumo energetico – rende infatti molto difficile mantenere i risultati nel tempo. Attraverso questa esperienza simbolica e fisica, il pubblico può comprendere le reali difficoltà che chi vive con l’obesità affronta quotidianamente, superando luoghi comuni e pregiudizi. Durante le tappe di Roma e Milano, i visitatori hanno potuto confrontarsi con dietisti e rappresentanti dell’associazione pazienti, calcolare il proprio BMI con una bilancia interattiva e partecipare ad approfondimenti con medici specialisti. Elemento distintivo della campagna è stato il coinvolgimento di influencer con pubblici eterogenei, capaci di trasmettere i messaggi chiave in modo autentico, diretto e coinvolgente.
Che risultati avete o volete raggiungere?
L’obiettivo principale è promuovere consapevolezza e informazione, superando lo stigma legato all’obesità e contribuendo a cambiare la narrazione pubblica. Vogliamo spostare l’attenzione dalla forza di volontà o dall’estetica alla salute, favorendo una comprensione più scientifica e umana della malattia. Fin dall’inizio, abbiamo puntato ad aprire un dialogo che coinvolgesse tutte le voci: specialisti, pazienti, influencer e istituzioni. Solo così si può costruire un cambiamento reale.
Ad oggi, la campagna ha raggiunto milioni di persone, raccogliendo un’ampia partecipazione e adesione da parte di tutti gli stakeholder coinvolti, a conferma del bisogno condiviso di affrontare il tema in modo nuovo.
Cosa pensa ci sia ancora da fare in questo ambito?
C’è ancora molto da fare. Lo stigma è profondo e ha un impatto concreto sulla vita delle persone, portando spesso a isolamento e ritardi nella diagnosi e nelle cure. In questo contesto, l’approvazione ufficiale, lo scorso 1° ottobre, della legge che riconosce l’obesità come patologia rappresenta un passo avanti decisivo: l’Italia diventa così il primo Paese in Europa a compiere questo importante riconoscimento, segnando un cambiamento culturale profondo.
Ma questo è solo l’inizio. Serve continuare a promuovere campagne di sensibilizzazione, sostenere la ricerca scientifica e garantire accesso equo e continuativo alle cure.
Qual è l’aspetto principale della Patient Advocacy Campaign che sarà più importante secondo lei nei prossimi anni?
Nei prossimi anni sarà cruciale mettere al centro la voce del paziente. Le campagne dovranno nascere insieme a chi vive quotidianamente la malattia, per essere davvero efficaci e rappresentative. Sarà inoltre essenziale integrare scienza e narrazione: unire la forza dei dati clinici alla dimensione emotiva e personale della patologia. Solo così si potranno costruire messaggi autentici e accessibili. Infine, la collaborazione tra tutti gli attori del sistema salute – istituzioni, professionisti, aziende, associazioni, media e cittadini – sarà indispensabile per costruire una cultura della salute più equa, inclusiva e sostenibile.