Ilaria Bresolin
Come è nata l’idea di realizzare questo progetto e a chi si rivolge?
L’idea nasce dal desiderio di creare uno spazio digitale che valorizzi l’esperienza clinica quotidiana in ambito ematologico, promuovendo la condivisione di contenuti informativi tra pari. Il progetto si rivolge a specialisti e professionisti coinvolti nella gestione del paziente oncoematologico, con l’obiettivo di diffondere conoscenze, buone pratiche e approcci multidisciplinari attraverso una narrazione autentica, autorevole e accessibile. Al tempo stesso, mira a rendere i clinici sempre più autonomi nella produzione e diffusione di contenuti digitali.
Potrebbe descriverlo brevemente?
“Pages of Care” è un progetto digitale articolato in due output principali per ciascun clinico coinvolto: due articoli scientifici pubblicati sulla piattaforma J&J Medical Cloud, e tre post LinkedIn (uno per ogni articolo e il terzo di recap per dei due precedenti). I contenuti sono incentrati su tematiche di rilievo nell’ambito delle patologie ematologiche. I clinici sono affiancati nella redazione dei contenuti, nella produzione multimediale e nella diffusione digitale.
Che risultati avete o volete raggiungere?
Il progetto mira a creare una “biblioteca narrativa” che ispiri la comunità scientifica attraverso esperienze cliniche condivise e approcci innovativi, rafforzando la visibilità dei professionisti coinvolti e generando contenuti di valore su temi come il ruolo del caregiver e la multidisciplinarietà. In pochi mesi, coinvolgendo clinici di alto valore e riconosciuti nel mondo del mieloma multiplo, abbiamo superato le 15 mila impressions, dimostrando l’efficacia del nostro approccio. Il successo di “Pages of Care” ha evidenziato la capacità di combinare piattaforme digitali e collaborazione clinica per aumentare la visibilità scientifica, facilitando anche l’espansione in altri ambiti clinici come dermatologia e reumatologia. L’obiettivo è sviluppare un modello sostenibile, innovativo e replicabile che favorisca il dialogo tra comunità scientifica e azienda.
Cosa pensa ci sia ancora da fare in questo ambito?
C’è ancora molto da fare per rendere la comunicazione scientifica più accessibile, empatica e in linea con le nuove modalità di fruizione digitale. Serve inoltre continuare a valorizzare le competenze trasversali dei clinici – dalla comunicazione alla formazione – che spesso non trovano spazio nei contesti digitali, contribuendo così in prima persona alla diffusione di contenuti utili e rilevanti. Progetti come questo rappresentano un’opportunità concreta per accompagnare i professionisti in questo percorso di evoluzione.
Qual è l’aspetto principale del Digital Project che sarà più importante secondo lei nei prossimi anni?
Crediamo che l’elemento chiave sarà la capacità di produrre contenuti personalizzati, brevi e ad alto impatto, pensati per canali e pubblici diversi. Video, articoli e post non dovranno solo informare, ma anche coinvolgere e stimolare il confronto. La possibilità di misurare e ottimizzare la comunicazione in tempo reale, grazie ai dati digitali, sarà inoltre essenziale per aumentare l’efficacia dei progetti futuri. La narrazione clinica, se ben strutturata e diffusa, può diventare uno strumento di cambiamento culturale.