Vittoria Insalaco
Irene Capris
Come è nata l’idea di realizzare questo progetto e a chi si rivolge?
L’idea nasce dalla volontà di mettere realmente il paziente al centro, mostrando che le malattie dermatologiche, come la dermatite atopica, non si limitano ai segni visibili sulla pelle, ma hanno un impatto profondo anche sulla sfera emotiva, relazionale e sulla vita quotidiana. Almirall, Coerentemente con il suo impegno nell’area dermatologica, con questo progetto vuole mostrare la naturale estensione della sua missione aziendale nel supportare le persone affette da patologie infiammatorie immunomediate della pelle, rafforzando la propria presenza anche nell’area terapeutica della dermatite atopica. Il progetto si rivolge non solo ai pazienti e ai loro caregiver ma a tutta la popolazione.
Potrebbe descriverlo brevemente?
Il “Diario Atipico della Dermatite Atopica” è un corto animato in tre episodi, nato dalla penna e dall’esperienza personale dell’Illustratore, paziente affetto dalla nascita da dermatite atopica. Attraverso uno stile visivo originale e un tono narrativo leggermente ironico ma profondamente empatico, il progetto racconta cosa significa convivere con questa malattia: dal prurito incessante ai disturbi del sonno, fino alle implicazioni emotive e sociali. Ogni episodio offre uno sguardo autentico e sensibile sulle sfide quotidiane che i pazienti affrontano, dando voce a una realtà spesso invisibile. Il risultato è un racconto coinvolgente che sensibilizza il pubblico e contribuisce a rompere lo stigma che circonda la dermatite atopica, con l’obiettivo di creare maggiore empatia e consapevolezza attorno a questa condizione.
Che risultati avete o volete raggiungere?
I risultati iniziali sono stati estremamente positivi: il “Diario Atipico della Dermatite Atopica”, lanciato ad aprile, ha già superato il milione di visualizzazioni in pochi mesi. Questo dimostra quanto sia forte il bisogno di racconti autentici e di iniziative che diano voce ai pazienti. Il nostro obiettivo futuro è quello di continuare su questa strada, raggiungendo un pubblico ancora più ampio. Vogliamo aiutare i pazienti e i loro caregiver a sentirsi meno soli, creando consapevolezza e vicinanza attorno a una condizione che spesso resta invisibile agli occhi di chi non la vive direttamente.
Cosa pensa ci sia ancora da fare in questo ambito?
È fondamentale continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo sanitario sul burden reale della malattia, per abbattere lo stigma che ancora circonda chi ne soffre. Dare voce ai pazienti è essenziale per far emergere le loro esperienze e far comprendere che il disagio non è solo fisico ma anche psicologico e sociale. Inoltre, è importante favorire una diagnosi precoce e un accesso più ampio ai trattamenti adeguati: si stima infatti che circa il 30-40% dei pazienti con DA grave non riceva ancora una terapia sistemica innovativa. C’è quindi ancora molto da fare, soprattutto nel promuovere un approccio integrato alla gestione della patologia, che tenga conto sia degli aspetti clinici che del vissuto del paziente.
Qual è l’aspetto principale del Patient Advocacy Program che sarà più importante secondo lei nei prossimi anni?
Nei prossimi anni, un aspetto sempre più rilevante del Patient Advocacy Program sarà il coinvolgimento attivo dei pazienti nella definizione di iniziative che rispondano ai loro bisogni reali. Ascoltare in modo strutturato la loro voce, non solo sul piano clinico, ma anche emotivo e sociale, permetterà di sviluppare progetti più vicini alla loro quotidianità e più efficaci nel supportarli. Sarà inoltre importante rafforzare la collaborazione con le associazioni pazienti, per costruire percorsi condivisi e messaggi autentici, contribuendo così a una maggiore consapevolezza sulla dermatite atopica e su altre patologie croniche dermatologiche.