Epatocarcinoma: servono informazioni chiare e percorsi condivisi. L’indagine EpaC Onlus

Una persona in età avanza, tra i 56 e gli 85 anni, con un forte bisogno di assistenza nelle attività della vita quotidiana e la necessità di essere seguita meglio nel proprio percorso di cura. Stiamo parlando del paziente con epatocarcinoma (HCC), tumore del fegato che costituisce la più grave complicanza evolutiva delle patologie epatiche e la cui diagnosi arriva ancora troppo tardivamente.

Da un’indagine condotta da EpaC Associazione Onlus, con il contributo non condizionato di Roche, emerge in maniera evidente quanto questa aggressiva forma di tumore del fegato abbia un importante impatto in termini sociali ed economici non solo sui pazienti ma anche sull’intero nucleo familiare. Complessivamente il 75% degli intervistati ha affermato infatti di avere avuto bisogno dell’assistenza dei propri cari (41% un familiare e 31% più di un familiare), il 3% si è avvalso di un assistente retribuito e solo il 25% dichiara di non avere avuto invece alcun tipo di sostegno. L’indagine è stata condotta su un campione di associati EpaC con tumore del fegato pregresso o in corso, con l’obiettivo di individuare bisogni, esigenze e difficoltà dei pazienti.

L’epatocarcinoma è la forma di tumore più frequente di natura epatica e rappresenta il quinto tumore per frequenza nei maschi e l’ottavo nelle donne. La cirrosi epatica rappresenta il fattore di rischio più importante per lo sviluppo del tumore, poiché la maggior parte dei casi di neoplasia si presenta sul fegato cirrotico (80-90%).

“Siamo stati sorpresi che il 20% circa degli intervistati prima di ricevere una diagnosi di tumore non sapeva di avere una malattia avanzata oppure di avere una malattia del fegato e ciò vuol dire che ancora in troppi sfuggono alla diagnosi della malattia di base, che spesso è la cirrosi epatica”, ha raccontato Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione EpaC Onlus.

Le criticità emerse dalla survey non sono poche e riguardano l’intero percorso del paziente dalla diagnosi, sempre molto difficoltosa, al trattamento successivo. “Per un paziente trovare la struttura adeguata è abbastanza complicato”, ha proseguito Gardini. “Il 63% degli intervistati è passato attraverso una o più strutture per arrivare a quella di eccellenza che può diagnosticare e curare con tutte le tecniche più avanzate”.

Ancora, per quanto riguarda la diagnosi dall’indagine è emerso che questa viene effettuata con “13 modalità diverse”, ha ricordato Gardini e quindi “probabilmente c’è bisogno di armonizzare le tecniche con cui diagnosticare più velocemente il tumore del fegato”. Sono infatti ancora troppi i pazienti che si recano in una o più strutture alternative, alla ricerca della corretta capacità strumentale diagnostica e terapeutica di ultima generazione: una pratica ancora oggi eccessivamente diffusa che non consente una razionalizzazione di tempo e risorse economiche che gravano oltre che sui pazienti anche sul Sistema Sanitario Nazionale. Per ottenere una diagnosi completa, molti pazienti hanno dichiarato di essersi dovuti rivolgere ad una o più strutture oltre a quella in cui erano in carico: il 53% per propria scelta, il 30% su indicazione dello specialista e il 17% perché la struttura non era attrezzata. “Ciò evidenzia la necessità di avere una mappatura e una valutazione delle strutture di eccellenza a cui le persone si devono rivolgere immediatamente”.

Ma l’immagine emblematica della condizione odierna dei pazienti emerge relativamente al tema del reperimento delle informazioni: più di un paziente su due ha voluto lanciare un grido d’allarme rispetto alla forte necessità di avere indicazioni chiare, precise e facilmente reperibili sui centri cui rivolgersi. Sempre per circa un paziente su due è essenziale poter accedere a percorsi prioritari per l’accesso alle strutture di eccellenza ed essere informato per poter accedere alle terapie sperimentali, oltre che poter avere informazioni chiare sulle concrete possibilità di trattamento e soprattutto sulla reale aspettativa di vita. Non meno importante, il 52.4% ha manifestato la volontà di poter avere la possibilità di accedere in maniera semplice e chiara ad informazioni relative alla disponibilità di terapie sperimentali, di partecipazione a trial clinici, cui spesso i pazienti vorrebbero sottoporsi pur di avere speranze di guarigione, ma alle quali, nella maggior parte dei casi, non riescono ad accedere perché ne ignorano l’esistenza o non riescono a trovare informazioni a riguardo.

Emerge con evidenza, quindi, l’urgenza di “elaborare dei percorsi diagnostico terapeutico assistenziali (PDTA) chiari”, ha sottolineato Gardini. “Bisogna indicare delle strutture che siano in grado di curare il paziente a 360 gradi con dei team multidisciplinari. Accanto a questo serve un percorso condiviso tra tutti coloro che sono coinvolti, a partire dal medico di famiglia, per mettere rapidità nell’iter per arrivare alla diagnosi e al trattamento”, ha concluso il Presidente Epac Onlus.

 

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One Thought to “Epatocarcinoma: servono informazioni chiare e percorsi condivisi. L’indagine EpaC Onlus”

  1. Però non è stata illustrata la parte peggiore. HCC (epatocarcinoma cellulare) non si cura. Solo diagnosi precoce e chirurgia danno qualche chance.
    Recentemente sono stato incuriosito dal fatto che nella letteratura scientifica venivano scoperti moltissimi geni guida per HCC. I geni guida (driver genes) sono quei geni che guidano la progressione di molti tipi di cancro. Sono geni con molte connessioni funzionali (per questo detti anche HUB). Sono ad oggi noti per tutti i tipi di cancro circa 300 geni e per HCC ne sono noti 12. Un’analisi dettagliata della letteratura su PubMed, dal 2014 al 2018, ci ha fatto scoprire ben 324 geni HUB per HCC, una enormità. Senza entrare nei dettagli, una analisi quantitativa fatta mediante reti metaboliche che descrivono le interazioni funzionali proteina-proteina (e geni-geni) hanno rivelato che la quasi totalità di questi geni (e le corrispondenti proteine) scoperte dai tanti gruppi di ricerca, non hanno nessuna relazione funzionale tra di loro e quindi non possono essere coinvolti in HCC (tutti i modelli attuali dicono che una patologia è sempre caratterizzata da un certo numero (piccolo) di geni HUB che lavorano metabolicamente insieme).
    Questi geni e proteine HUB sono importantissimi perché oltre a favorire specificamente la malattia, è contro di essi che si progettano i farmaci per curarle (es. il cancro). Sempre senza entrare in altri complessi dettagli, questi aspetti anomali coinvolgono sia la capacità delle riviste scientifiche ad avere revisori adeguati e competenti che la nascita di seri dubbi sulla bontà e sulla vericità dei dati (la teoria li prevede totalmente privi di errori) che vengono inseriti da tempo nei sistemi dei Big Data che, al presente, ne sono inquinati. È un discorso molto complesso, difficile da affrontare per tanti e diversi motivi, che, se non viene risolto, inficerà le diagnosi della medicina personalizzata che usa questi stessi Big Data biomedici anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale (AI). Semplicemente, se i sistemi di filtraggio e correzione non sono in grado di riconoscere come errati questi tipi di dati biomedici perché nessuno glielo dice, anche il training dell’AI userà dei dati errati e quindi le predizioni conterranno degli errori.
    Giovanni Colonna
    P.S. per i più curiosi: Sharma, A., Colonna, G. System-Wide Pollution of Biomedical Data: Consequence of the Search for Hub Genes of Hepatocellular Carcinoma Without Spatiotemporal Consideration. Mol Diagn Ther 25, 9–27 (2021). https://doi.org/10.1007/s40291-020-00505-3.

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