La salute mentale potrebbe svolgere un ruolo nel recupero dopo un attacco cardiaco

La depressione e l’ansia potrebbero svolgere un ruolo significativo nel rischio di subire un secondo evento cardiaco entro cinque anni dal primo attacco di cuore nei giovani e negli adulti di mezza età. Lo suggerisce uno studio che sarà presentato alla 70esima sessione scientifica annuale dell’American College of Cardiology. Secondo i ricercatori si tratta del primo lavoro che valuta in modo completo l’influenza della salute mentale sulle prospettive dei giovani sopravvissuti a un attacco di cuore.

I risultati sono in linea con studi precedenti incentrati sugli anziani e rafforzano l’idea che la salute mentale sia una parte integrante del recupero di un paziente che ha subito un infarto. “I nostri risultati suggeriscono che i cardiologi dovrebbero considerare il valore di regolari valutazioni psicologiche, soprattutto tra i pazienti più giovani”, osserva Mariana Garcia, borsista di cardiologia presso la Emory University di Atlanta e autrice principale dello studio. “E dovrebbero valutare dei trattamenti per migliorare il disagio psicologico nei giovani pazienti dopo un infarto, come la meditazione, tecniche di rilassamento e approcci olistici, oltre alla terapia medica tradizionale e alla riabilitazione cardiaca”.

I ricercatori hanno analizzato i dati di 283 sopravvissuti a un attacco di cuore di età compresa tra 18 e 61 anni, con un’età media di 51 anni. I partecipanti allo studio hanno completato una serie di questionari convalidati per la misura di depressione, ansia, rabbia, stress percepito e disturbo da stress post-traumatico entro sei mesi dall’infarto. Sulla base di questi questionari, i ricercatori hanno stabilito un punteggio composito di disagio psicologico per ogni partecipante e hanno raggruppato i pazienti sulla base di esperienze di disagio lieve, moderato e alto.

Entro cinque anni dall’infarto, 80 dei 283 pazienti hanno subito un successivo infarto o ictus, sono stati ricoverati in ospedale per insufficienza cardiaca o sono morti per cause cardiovascolari. Le “ricadute” cardiovascolari si sono verificate nel 47%  dei pazienti che soffrivano di un forte disagio psicologico e nel 22% di coloro che soffrivano di  un disagio psicologico lieve.

Studi precedenti suggeriscono che l’infiammazione è un meccanismo biologico attraverso il quale il disagio psicologico può portare a problemi cardiaci. In effetti lo studio attuale mostra che i pazienti che hanno sperimentato un forte disagio presentavano livelli più elevati di due marcatori infiammatori – l’interleuchina-6 e la chemoattractant Macrophage proteina-1 (MCP-1) – nel sangue sia in condizioni di riposo e che dopo uno stress mentale. Questi marcatori, che aumentano durante i periodi di stress, sono associati all’accumulo di placche nelle arterie e ad eventi cardiaci avversi. “Si pensa che coloro che hanno avuto un attacco di cuore possono essere particolarmente vulnerabili alla rottura della placca a causa di questi meccanismi infiammatori in gioco”, commenta Garcia. “L’associazione che abbiamo trovato era indipendente dai fattori di rischio cardiovascolare noti e suggerisce che i meccanismi che coinvolgono l’infiammazione sistemica in risposta allo stress possono essere implicati nella probabilità di un successivo evento cardiaco”.

I ricercatori hanno anche scoperto che i pazienti con disagio elevato provenivano spesso da un contesto socioeconomico svantaggiato ed erano più propensi a fumare o soffrire di diabete o ipertensione. “Questa scoperta evidenzia l’importanza dello stato socioeconomico in relazione a un maggiore disagio”, aggiunge Garcia.

Lo studio “Psychological Distress and Risk of Adverse Cardiovascular Outcomes in Young and Middle-Aged Survivors of Myocardial Infarction”, sarà presentato il 16 maggio.

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